Il nostro futuro sarà bellissimo, perché non è più quello di una volta.
Il futuro sarà bellissimo. Sentirlo dire da un giovane è “un luogo comune”, una speranza radicata negli anni che furono dei nostri genitori. Oggi questa convinzione si è un po’ affievolita, oscurata da quella che molti chiamano “la sindrome da frigo pieno”. Quello che manca e che ci blocca, è la mancanza di una visione del futuro. Per colpa di questa miopia non riusciamo più a cogliere le opportunità che ci passano davanti. Il frigo pieno ci ha fatto dimenticare questa capacità che invece è molto sviluppata nei mercati emergenti, dove molti, un frigorifero, non possono permetterselo.
Come poter tornare a vedere queste occasioni, come poterle sintonizzare sui nostri business? Ritengo che la soluzione passi attraverso una nuova cultura d’impresa. Il 2009 non è il futuro dei nostri genitori ma il nostro presente, molti sogni dei nostri padri, sono oggi realtà quotidiana, andando a leggere vecchi numeri del nostro “Trentino Industriale” traspare in modo netto.
Abbiamo bisogno di una nuova identità, di nuovi sogni, di una nuova cultura, perché il nostro futuro sia chiaro, concreto e in sintonia con i nostri valori e le nostre idee. Una nuova cultura che sia digitale, cioè consapevole delle potenzialità che le nuove tecnologie ci possono offrire. Una cultura del fare non solo per se stessi, ma anche per il bene della nostra comunità, perché l’imprenditore ha il compito di creare ricchezza sociale oltre che economica. Una cultura della responsabilità, perché usciamo da un’epoca che è stata definita l’età dei diritti, e forse questo ha affievolito, nel pensiero comune, il valore della responsabilità e del dovere. Una cultura del merito, ma anche una nuova cultura del fallimento, che certo non lo premi, ma nemmeno lo etichetti socialmente al punto da escludere nuove sfide professionali.
Il mondo cambia: a Londra sempre più persone cominciano ad andare in bicicletta, mentre a Pechino sempre più persone cominciano ad andare in automobile. È ingiusto limitare questa evoluzione, questa voglia di riscatto e di arrivare qui, dove siamo noi oggi. Possiamo però mantenere il vantaggio, e fare un passo in avanti, che se intrapreso con una nuova cultura adatta al tempo in cui viviamo, non sarà vissuto come gesto obbligato, ma come importante evoluzione culturale, economica e sociale.
Non so cosa produrrà il Trentino in futuro, non so cosa le aziende offriranno al mercato, ma sono sicuro che ci saremo, con un nuovo modo di pensare, con una buona flessibilità e attenzione alle opportunità che il mondo ci offre, continuando a essere un territorio di eccellenze, un “brand” conosciuto in tutto il mondo, qualunque esso sia.